Codice di Procedura Penale art. 210 - Esame di persona imputata in un procedimento connesso.

Pierluigi Di Stefano

Esame di persona imputata in un procedimento connesso.

1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso [192, 363, 392 1d] a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'articolo 195, anche di ufficio 1.

2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice [198], il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo [132, 513 2]. Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni [468; 142, 147-bis att.] 2.

3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio [97].

4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere [64 3b].

5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499 e 500 3.

6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali persone è dato l'avvertimento previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone [377-bis c.p.]. Al loro esame si applicano, in tal caso, oltre alle disposizioni richiamate dal comma 5, anche quelle previste dagli articoli 197-bis e 497 4 5.

 

[1] Comma così modificato dall'art. 8, comma 1, lett. a) l. 1° marzo 2001, n. 63.

[2] Comma così sostituito dall'art. 2 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356.

[3] Comma così modificato dall'art. 8 , comma 1, lett. b) l. n. 63, cit.

[4] Comma così sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. c) l. n. 63, cit.

[5] La Corte cost., con sentenza 2 novembre 1998, n. 361 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 210 «nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero».

Inquadramento

La disposizione disciplina l'esame dei soggetti imputati per reati connessi e per i quali ricorre l'incompatibilità a testimoniare ai sensi dell'art. 197 c.p.p. Si rinvia al commento a tale disposizione per la individuazione dei limiti tra la posizione di coimputato e di testimone.

Il testo fa riferimento ai soli soggetti per i quali si procede in separato processo ma, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 361/1998, ha dichiarato l'illegittimità del primo comma “nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero” la previsione è ora più ampia.

L'espressione “procedimento connesso” deve, quindi, essere riferita al collegamento sostanziale tra posizione dell'imputato e del coimputato; non ha, invece, rilievo il dato formale dell'essere le loro posizioni trattate unitariamente nello stesso processo o in procedimenti separati. Ciò, del resto, emerge dalla stessa disciplina degli artt. 197,197-bis e 201 c.p.p. come modificati dalla legge giusto processo n. 63/2001, strettamente incentrata sulla relazione sostanziale tra dichiaranti e fatti per i quali si procede, per ridurre al minimo i casi di incompatibilità a testimoniare e garantire il diritto al contraddittorio sulla prova.

La posizione dei medesimi soggetti, invece, è diversa quando sia stata pronunciata sentenza definitiva nei loro confronti; assumono la particolare posizione di “testimone assistito” come prevedono gli articoli 197 e 197-bis c.p.p. (Si rinvia ai relativi commenti).

L'articolo in oggetto, nel prevedere che l'esame del coimputato sia un mezzo di prova, disciplina due profili.

Innanzitutto, tutela la persona che rende dichiarazioni che, in quanto imputata del medesimo reato o di un reato connesso, per evidenti ragioni può vedere la sua posizione condizionata, e pregiudicata, dalle dichiarazioni che rende nei confronti dell'imputato, dovendo riferire sullo stesso fatto o su fatti che condizionano l'accertamento anche della propria responsabilità. Per tale ragione l'art. 210 c.p.p. gli riconosce uno status simile a quello dell'imputato: prevede che tale dichiarante sia assistito da un difensore e, pur obbligandolo a presentarsi al giudice, gli riconosce la facoltà assoluta di non rispondere.

Poi, mediante il richiamo alle disposizioni degli artt. 194,195,498,499 e 500 c.p.p., pone le regole per tale esame.

Resta al di fuori della previsione dell'art. 210 c.p.p., invece, il tema della valutazione di tali dichiarazioni.

I soggetti

I soggetti cui è riferita la disposizione sono individuati in base al rapporto di connessione tra reati e quando sussistano le condizioni di incompatibilità a testimoniare, disciplinate dall'art. 197 c.p.p.; tale ultima disposizione, si rammenta in estrema sintesi, consente la testimonianza dei coimputati quando il loro processo sia definito o, in determinati casi, accettino di rendere testimonianza.

Ai sensi del comma 1, si tratta innanzitutto delle persone per le quali ricorre la connessione ex art. 12, comma 1, lett. a) c.p.p. , ovvero gli imputati nel medesimo reato (commesso in concorso o cooperazione) o che, con condotte indipendenti, hanno determinato l'evento.

Il comma 6, poi, individua il caso delle “persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b)”, limitatamente al caso in cui tali persone non abbiano già reso dichiarazioni nei confronti dell'imputato. La ragione del riferimento a questa sola ipotesi è evidente perché, nel diverso caso in cui gli stessi soggetti abbiano già reso dichiarazioni, non avvalendosi quindi della facoltà di non rispondere, hanno già assunto la posizione di “testimone assistito”.

Il comma 6, quindi, consente di citare tali soggetti, che saranno obbligati a presentarsi ai sensi del comma 2, potendo altrimenti il giudice disporre il loro accompagnamento coattivo. A tale punto, i dichiaranti:

– si potranno avvalere delle facoltà di non rispondere e, quindi, non sarà raccolta alcuna prova;

– potranno accettare di rendere dichiarazioni e, perciò, diventeranno testimoni, ovviamente “assistiti” ex art. 197-bis c.p.p., con obbligo di rispondere alle domande e dire la verità.

Quindi, a ben vedere, l'unica ipotesi di prova dichiarativa ex art. 210 c.p.p. per la quale non vale la regola dell'obbligo di dire la verità è quella del soggetto per il quale ricorra la connessione “forte” dell'art.12, lett. a), c.p.p., fondamentalmente il correo dello stesso reato.

Si rinvia al commento agli artt. 197 e 197-bis per quanto riguarda i profili in ordine alla qualificazione del dichiarante, al cumulo delle qualità di persona offesa e coimputato, agli effetti dell'archiviazione della posizione del soggetto indagato in reato connesso.

Regole processuali

Le regole per l'esame ex art. 210 c.p.p. sono sostanzialmente corrispondenti a quelle della testimonianza in quanto compatibili:

– l'esame deve essere richiesto dalle parti o disposto di ufficio nell'ipotesi di cui all'art. 195 c.p.p., quando sia il coimputato sia la fonte primaria indicata in sede di testimonianza de relato;

– il dichiarante è convocato con le forme della citazione di testimoni, con obbligo di presentarsi, per cui in caso di inottemperanza può essere disposto il suo accompagnamento coattivo (e applicata la sanzione pecuniaria);

– si applicano le regole, previste per la testimonianza, di cui agli artt. 194, 195, 498, 499 e 500 (in particolare quanto ad esame incrociato, oggetto e forme dell'esame, effetti delle dichiarazioni de relato, contestazioni delle precedenti dichiarazioni, loro acquisizione ed utilizzazione nel caso di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p.).

Le regole peculiari sono, invece, la facoltà di non rispondere e la presenza del difensore che “ha diritto di partecipare all'esame”. Tale formulazione, e il fatto che un simile inciso non compaia nella analoga previsione dell'articolo 197-bis c.p.p., fa comprendere che il difensore può rivolgere direttamente domande ed esercitare tutte le facoltà del difensore dell'imputato .

Si consideri che la disposizione, modificata nella sua portata per il citato intervento della Corte costituzionale, mantiene la formulazione originaria e, quindi, il secondo ed il terzo comma sono stati formulati in riferimento alla situazione nella quale il dichiarante non è giudicato nel medesimo processo.

Va quindi considerato che, in caso di procedimento riunito, il soggetto è sottoposto ad esame con riferimento anche alla propria posizione e, quindi, le regole andranno adattate. In particolare, l'accompagnamento potrà essere disposto solo con riferimento alla espressa previsione di audizione per la posizione degli altri imputati.

Peculiare il tema degli avvisi ai sensi dell'art. 64 c.p.p., essendo previsto testualmente solo, e in modo limitato, dal comma 6. Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 33583/2015), invece, l'avvertimento di cui all'art. 64, comma terzo, lett. c), c.p.p. deve essere rivolto non solo se il soggetto non ha «reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato» (come testualmente prevede il predetto comma 6), ma anche se egli abbia già deposto “erga alios” senza aver ricevuto tale avvertimento.

Violazioni della disposizione

Così come le regole di incompatibilità a testimoniare dell'art. 197 c.p.p., le disposizioni dell'art. 210 c.p.p. tutelano non l'imputato (tutelato dalle regole di valutazione della prova dell'art. 192 comma 3) ma il dichiarante stesso, in quanto la sua posizione può essere condizionata dalle proprie dichiarazioni, anche quanto gli viene chiesto è mirato alla posizione dell'imputato.

Ciò è rilevante innanzitutto per valutare le conseguenze dell'errore di qualificazione del dichiarante, sentito nelle forme “garantite” dell'art. 210 c.p.p. pur se, invece, doveva essere sentito quale testimone: ciò non è ragione di inutilizzabilità delle sue dichiarazioni (Cass. IV, n. 41198/2024; Cass. V, n. 48274/2004). E, anzi, laddove il giudice rilevi che, per quanto soggetto sia stato sentito ai sensi dell'art. 210 c.p.p. non ne ricorrevano le relative condizioni, può comunque valutarne le dichiarazioni secondo le regole della testimonianza. L'affermazione è particolarmente rilevante perché è possibile che, nei casi dubbi, sia il giudice di appello a ritenere la diversa qualifica rispetto al giudice di primo grado (Cass. II, n. 846/2004; Cass. I. n. 23161/2002). Il fatto che non siano stati rivolti gli ammonimenti previsti per il testimone, che questi non abbia reso dichiarazione di impegno e gli sia stato erroneamente dato avviso della facoltà di non rispondere, impedirà di ritenerne la responsabilità per falsa testimonianza e sarà profilo valutabile in sede di valutazione della prova, ma non ha effetti sulla sua utilizzazione.

Nel caso, invece, di soggetto che doveva essere sentito quale imputato di reato connesso e che, invece, è stato sentito quale testimone, così come nel caso nel quale siano state violate le garanzie dell'imputato di reato connesso, sicuramente ricorre una nullità a regime intermedio. Tale nullità, però, può essere eccepita solo dal dichiarante, nel cui interesse è fissata la regola violata, ma non anche dall'imputato privo di interesse alla eccezione non rilevando il mero interesse indiretto ad escludere l'utilizzazione della prova raccolta (Cass. V, n. 2620/62013).

Valutazione della prova

Le regole di valutazione della dichiarazione del coimputato sono quelle particolari dell'art. 192, comma 3, c.p.p. in tema di “chiamata in correità”, non essendovi disciplina particolare nella disposizione in esame. Si consideri che, le disposizioni vanno integrate con la peculiare disciplina della legge n. 45/2001 sui “collaboratori di giustizia” che tipicamente, soprattutto per i reati associativi, possono rivestire la qualifica di imputato in reato connesso ex art. 12, lett. a), c.p.p.  

Bibliografia

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